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Non chiamatemi eroe né angelo bianco - Diario di una OSS in tempo di Covid-19
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Annalisa Strappini - Non chiamatemi eroe né angelo bianco - Diario di una OSS in tempo di Covid-19
Collana "Le Querce" - I libri di Saggistica e Diaristica
14x20,5 - pp. 72 - Euro 10,00
ISBN 979-1259510051
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In copertina: «Speranza», dipinto di Carla Pistola
EROI
Nell’antichità non esisteva un indiscusso status di ¿rwj (héro¯s), «eroe», come se fosse un dato di fatto: il valore, la forza, la virtù, l’arguzia erano tali solo se messe alla prova del mondo. Non valevano le origini, lo stato sociale, la città di provenienza: eroi non si nasceva. Si sceglieva, però, di diventarlo, accettando di affrontare una serie di imprese il cui fine supremo era quello di aiutare gli altri. La misura eroica era data dall’esperienza di superare se stessi, non dal risultato… per sempre eroi chi aveva accettato la sfida di misurarsi in qualcosa più grande di sé, per diventare grande per sempre. Fantasiosa ma abbagliante di senso, l’etimologia della parola «eroe» che proponeva Platone nel dialogo ‘Cratilo’. Secondo il filosofo, la forza che spinge gli uomini a diventare eroi è solo una: erwj (éro¯s), «amore» – solo la durata, lunga o breve, delle due vocali h/e distingueva queste due preziose parole in greco antico.
Andrea Marcolongo, «La misura eroica»
Medici, infermieri, operatori socio sanitari, paramedici. Nel periodo di picco della pandemia, con gli ospedali al collasso, li abbiamo acclamati, ringraziati, sostenuti con ogni mezzo gridando al loro eroismo. Erano loro in prima linea nella lotta al Covid. Bardati come astronauti, irriconoscibili sotto i presidi medici che indossavano, in prima linea rischiando di persona il contagio e la vita, come purtroppo è accaduto. E, diciamocelo, grati soprattutto perché non toccava a noi essere lì. Abbiamo gridato agli eroi e li abbiamo resi quasi dei miti. Ma io credo che non sia stato solamente il loro spirito di sacrificio o il numero delle vite salvate che li ha resi tali ai nostri occhi. È soprattutto la modalità del servizio reso alla comunità fatto con amore e altruismo. E questo non è, né dovrebbe essere, un parametro valido solo in epoca di Coronavirus. È la misura quotidiana del loro operare, il più delle volte non riconosciuta e maltrattata in termini di dignità lavorativa ed economica. “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi” scriveva Bertolt Brecht. Se abbiamo bisogno di eroi è forse perché abbiamo dimenticato che è proprio di una comunità sana il bene comune, la professione come servizio e passione, la cura come espressione di risanamento della persona, del corpo e dell’anima. In una comunità non dovrebbero essere un’eccezione né dovremmo trasferirli in una sfera sovrumana non riconoscendoli più come uomini e come nostri simili. E allora possiamo definirli ‘eroi’ proprio nel senso greco della parola: stanno di fronte a noi a ricordarci che la forza che spinge gli uomini a diventare eroi è solo una: l’amore, declinato in tutte le sue forme. Hanno fatto sicuramente di più e meglio il loro lavoro in questo periodo con un impegno e uno sforzo immane ed hanno bisogno di tutta la nostra gratitudine. Perché sono loro che in questo momento ci riconciliano con la parte buona di ciascuno di noi. Avevamo forse dimenticato nel mondo ante Covid il bene comune, l’altruismo, il dono di sé per l’altro. Tutti loro non sono stati altro che molto umani. Abituati alle nefandezze avevamo perso la fiducia nell’uomo, avevamo dimenticato che siamo capaci anche di slanci generosi davvero inattesi. Ci hanno mostrato la parte buona della nostra società, quella di cui essere orgogliosi, persone che hanno messo competenza e capacità al servizio di tutti e lo hanno fatto con impegno superiore, perché questo è servito. È proprio adesso, oggi che la situazione sta migliorando, che non dovremmo dimenticarci di loro non sottovalutando più il loro impegno lavorativo e le loro competenze, riconoscendo loro strutture, presidi e stipendi adeguati sempre e non solamente in tempo di emergenza. Possiamo ringraziarli perché nonostante tutta la fatica, le preoccupazioni, i timori e le paure così umane, hanno, come Annalisa, curato i malati di Covid vedendo di fronte ai loro occhi la persona prima del paziente. E lo hanno fatto con la tenerezza ed il sorriso. La cura migliore. Perché in caso di naufragio, mai sottovalutare il sorriso. La sua assenza ha causato di gran lunga più sciagure dell’assenza di acqua, più vittime di bombe e torpedoni. È sul vostro umore che si fondano coraggio e fiducia e quasi sempre è dato dalla somma di piccole cose. Non dimenticate la leggerezza che contribuisce a renderlo positivo.
Phil Richards, Twain Braden, John J Banigan, «How to Abandon Ship. Come abbandonare una nave»
Cristiana Filipponi
Introduzione
Mi chiamo Annalisa ed ho 38 anni. Dopo il diploma di Maturità Magistrale, a 24 anni ho conseguito l’Attestato di OSS, ovvero Operatore Socio-sanitario. Numerose volte mi è stato detto: “Sei giovane perché non ti laurei!”, certo mi sarebbe piaciuto, ma diverse circostanze e scelte mi hanno portato a diventare OSS. L’Operatore Socio Sanitario è una figura lavorativa piuttosto recente, nata da un accordo di Stato-Regioni-Provincie Autonome siglato nel 2001. L’OSS è un operatore che lavora in campo sociale e sanitario e si occupa di aiutare persone in difficoltà come gli anziani, i bambini con disabilità, le persone malate di ogni età. In ospedale, così come nelle altre strutture dove può lavorare, l’OSS coadiuva il lavoro dell’infermiere e si occupa di soddisfare i bisogni primari del paziente quando è possibile e al meglio possibile. Le attività che l’OSS attua in maggior misura in ospedale sono molteplici: osservare e collaborare a rilevare i bisogni primari fisiologi dei pazienti, aiutare i pazienti totalmente o parzialmente dipendenti nelle attività di vita quotidiane, supportare la corretta assunzione della terapia dopo la somministrazione da parte dell’infermiere, prevenire le ulcere da decubito attraverso la mobilizzazione dei pazienti costretti a letto, promuovere il movimento nei casi in cui sia possibile, rilevare i parametri vitali quali la temperatura corporea, la pressione arteriosa, la saturazione ovvero l’ossigenazione del sangue, la frequenza cardiaca. Di competenza anche il trasporto di materiale biologico, l’attuazione degli interventi di primo soccorso, la sterilizzazione, sanitizzazione e sanificazione di presidi medico chirurgici e delle unità di degenza dei pazienti.
Ebbi il mio primo incarico da OSS nel 2006 nell’Ospedale di Sassoferrato, una cittadina vicino Fabriano in provincia di Ancona e ai confini con le dolci colline Umbre. Nonostante fossi ad un’ora di strada da casa dei miei genitori preferii trasferirmi in un piccolo appartamento in affitto. Per me era tutto nuovo: dal quartiere dove abitavo, ai colleghi di lavoro, al lavoro stesso; nonostante questo mi sono sentita subito accolta, probabilmente per il mio carattere gioviale, e ancora oggi ne conservo un bellissimo ricordo. Dal 2010 lavoro all’Ospedale “Carlo Urbani” di Jesi e, dopo essere stata assegnata a vari reparti, dal 2017 lavoro nel reparto di Bronco pneumologia. Avevo già visto molto del mio lavoro, ma solo in questo caso ho potuto osservare diversi sistemi di supporto alla respirazione per compensare le difficoltà che certe patologie recano al respiro. Tipici, nel reparto dove lavoro, sono i ricoveri per polmoniti, ma l’arrivo della polmonite per Corona Virus ha destabilizzato tutto il personale medico e paramedico, sia nel mio reparto che nell’intera azienda sanitaria. L’ASUR Marche Area Vasta n. 2 si è trovata a fronteggiare un’emergenza medica di cui non si conoscono precedenti recenti; l’ultimo nella storia è riconducibile all’influenza spagnola del 1920 dove le persone erano state costrette, come ora, a girare con la mascherina per evitare di contagiarsi a vicenda. Così in tutta l’Italia, specie nelle regioni del nord dove ci sono stati moltissimi casi di Corona Virus, come nelle diverse aree del mondo, tant’è che è stato dichiarato lo stato di Pandemia. Ad oggi mi sento comunque una donna realizzata: ho un compagno che mi vuole bene e a cui anch’io ne voglio e insieme abbiamo due figli bellissimi che sono i nostri tesori più grandi. Questa pandemia e soprattutto la quarantena ci hanno comunque destabilizzato un po’, ma con l’unione e l’amore ne siamo usciti forse più forti di prima. Ho deciso di scrivere queste pagine per diversi motivi; sia perché quello che noi tutti gente comune e operatori sanitari abbiamo vissuto in questo periodo non può essere dimenticato; sia per far capire quanto il carico di lavoro, possa a volte essere estenuante, per tutte quelle donne, lavoratrici e mamme, e ce ne sono tante in azienda; sia per ricordare quanto sia importante per il paziente essere rispettato come persona e per far capire che assistere la persona in un clima positivo fatto di umanità e assistenza amorevole massimizza l’efficacia terapeutica. Perché la persona malata non è solo corpo ma psiche, sentimenti, emozioni, e, come tutti gli esseri umani, ha bisogno di essere considerata integralmente. Per questo ha bisogno di un approccio olistico, anche e soprattutto nella fragilità e nella vulnerabilità.
Non chiamatemi eroe né angelo bianco - Diario di una OSS in tempo di Covid-19
Dedico questo libro
alle vittime del Corona Virus
e ai loro familiari che hanno vissuto
un dolore indicibile
non potendo commemorare i loro defunti;
a tutti i malati contagiati da questo virus,
che attraverso numerose sofferenze
sono riusciti a guarire;
a tutti gli operatori sanitari
che ogni giorno con rischio e paura
lo hanno affrontato senza arrendersi mai,
e a quegli operatori che ci hanno rimesso la vita;
a tutti coloro che hanno avuto il coraggio, e lo hanno
ancora, di dire che questo virus non c’è stato.
1
Mi predispongo ad affrontare il virus,
esaminando tutti i miei dubbi
E la gente rimase a casa
E lesse libri e ascoltò
E si riposò e fece esercizi
E fece arte e giocò
E imparò nuovi modi di essere
E si fermò
(Poesia scritta durante l’epidemia della peste del 1800)
12-03-2020
Ore 05:00
“Attenti”, “Mirare”, “Sparare” e… BAM. Questo mi pare sia quello che succeda nelle esercitazioni militari, e forse anche in guerra.
Mi chiamo Annalisa e ho trentotto anni. Come ha scritto circa mille anni fa Dante, “nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, che la dritta via era smarrita”. Prima di arrivare nel mezzo del mio cammino mi era già capitato di aver smarrito la strada giusta, ma gradualmente l’ho ritrovata fino a giungere alla piena consapevolezza di me stessa. O almeno così credevo.
Oggi, in tempo di pandemia, è diverso, anche per me. Tutti ci sentiamo persi, tutti ci sentiamo smarriti, la PAURA è dentro di noi, la percepiamo in ogni nostra cellula. La gente ha sentito crollarsi addosso molte certezze, è da tempo che ci si sente immortali, ora si è costretti a fare i conti con un’improvvisa paura di morire. Per chi crede, come me, è di aiuto la fede che fa intravedere la luce anche nel buio più pesto.
Perché è successo questo? Lo hanno chiamato Corona Virus o Covid-19, è lui il nostro nemico comune in tutto il mondo, non lo vediamo, o meglio solo il microscopio elettronico lo può vedere, ma ci sentiamo tutti suoi prigionieri.
Io sono una semplice e umile OSS Operatrice Socio-Sanitaria e lavoro all’ospedale “Carlo Urbani” di Jesi; io ed i miei colleghi OSS, Infermieri e Medici ci sentiamo tutti soldati dell’epoca moderna. Noi non siamo armati di fucili, né tanto meno di cannoni, le nostre armi sono i DPI ovvero Dispositivi di Protezione Individuale: Mascherina FFP2 che mettiamo a inizio turno e togliamo alla fine, guanti, che abbiamo sempre messo per accudire le persone malate, camice monouso, cuffia e occhialini. Sembriamo davvero dei soldati in uniforme.
Ma c’è “un’altra arma” che è sempre speciale e che insieme a parecchi miei colleghi utilizziamo senza timore di sprecarla: l’AMORE per il prossimo. Investiamo tante energie per prenderci cura di chi soffre.
Oltre alla fatica del lavoro, fuori dobbiamo fare i conti anche con le limitazioni delle uscite imposte dal governo centrale, il distanziamento fisico e i presidi anti contagio. Ciò che provoca più smarrimento e preoccupazione è vedere così tante persone intimorite che girano con le mascherine, la vita sociale che sta quasi finendo e incontrare e vedere le persone viso a viso mi manca moltissimo.
Mi faccio forza con quel poco ma tanto che ho: l’affetto di chi mi vuole bene, del mio compagno e in particolare quello dei miei figli di quattro e otto anni che mi riempie il cuore ogni giorno e mi dà la carica vitale per ricominciare ogni giornata.
Prego Dio che possa darci la forza di affrontare questo difficile momento, che dia forza e coraggio ai malati che devono stare da soli nei letti degli ospedali e a chi deve stare in isolamento perché è risultato positivo al tampone del Corona Virus.
Ore 21:00
Sono appena tornata da lavoro e domattina sarò di nuovo in corsia. Il nemico sta prendendo sempre più piede e la paura cresce.
La direzione sanitaria dell’ospedale di Jesi si sta organizzando con gran velocità per allestire reparti dediti ad affrontare questa emergenza, visto che qui nelle Marche i contagi stanno aumentando in maniera esponenziale. Per il momento sono stati allestiti due reparti dedicati alla verifica delle persone sospette di contagio. Viene fatto loro il tampone poi, se positivi sono trasferiti in altri ospedali, se negativi vengono ricoverati nei vari reparti del nostro ospedale, in primis alla Bronco Pneumologia, reparto di cura specializzato nelle malattie polmonari. Ci è giunta notizia che abbiano allestito anche l’ospedale di Camerino per la cura dei positivi.
Nonostante la paura, nonostante il nemico sconosciuto, la maggior parte dei miei colleghi, OSS, Infermieri e Medici, non si è tirata indietro nell’affrontare questa emergenza.
13-03-2020
Ore 15:15
Eccomi dopo una mattinata al lavoro. Oggi sono investita da un fiume di emozioni, dubbi, paure, incertezze. Ci stiamo preparando perché a breve inizieremo a combattere il nemico, per così dire “guardandolo in faccia”, ci stiamo preparando a diventare area di cura per chi ha accertato la positività al Corona virus.
Si prospetta uno scenario davvero brutto. I colleghi degli altri reparti mi dicono che i Dispositivi di Protezione Individuale sono costosi e sono pochi, perciò, anche se i nostri turni diventeranno di otto ore, non sarà possibile spogliarci per andare a fare pipì, né tanto meno a bere, solo in caso di estrema necessità. A questo disagio si aggiunge il timore di toccare la divisa che indossiamo perché abbiamo paura di contagiarci da soli.
Poi ci sono i dubbi che assalgono tutti noi del personale sanitario: riusciremo a proteggere i nostri cari? Per esempio, per quanto riguarda la mia situazione personale, ho mio papà con depressione, problemi cardiopatici e neurologici, prende già numerosi farmaci e temo che contrarre il Corona Virus per lui possa essere estremamente rischioso. Sarebbe rischioso anche per mia mamma per tutto lo stress che vive nel seguire la salute di papà. Temo anche di mettere a rischio la salute del mio compagno, e non ho certezze dell’effetto che questo virus potrebbe avere sui bambini. Ho due figli che considero i miei tesori più grandi, sono la mia forza vitale primaria. Non mi darei pace se fossi proprio io a mettere a rischio la loro salute. Ho pensato di finirmi l’aspettativa materna che ancora ho, ma allo stesso tempo non me la sento di tirarmi indietro nel “combattere questa battaglia”. Il nostro vescovo nel commento al vangelo di oggi ci dice “In una guerra non tutti possono essere al fronte…” ecco come mi sento in questo momento: “un soldato dell’epoca moderna” ed ora inizio a combattere.
Stasera ceneremo dai miei genitori, ed insieme discuteremo di quale potrà essere il male minore che posso fare loro. Dio mio, Dio mio ti prego non abbandonarmi.
Ore 22:30
Non riesco a prendere sonno. Domattina troverò un reparto, per così dire, rinnovato, dal momento che oggi pomeriggio lo hanno allestito come reparto di cura dei malati di Corona Virus. E forse due pazienti ce li avevamo anche stamattina, solo che avevano i tamponi negativi.
Il mio compagno fortunatamente lavora e sembra che continuerà a lavorare, nonostante a tante attività lavorative sia già stata imposta dal governo la chiusura temporanea per limitare i contagi. I nostri figli possono stare solo con i miei genitori e ho tanta paura di essere veicolo di trasmissione del virus per loro.
Sto ripensando di prendermi l’aspettativa, i miei figli vorrebbero stare con me, ma questo allo stesso tempo mi fa sentire una codarda, una che si arrende nelle difficoltà, una che getta la spugna. Non lo so, sono totalmente confusa, piena di dubbi e perplessità. Ora devo proprio provare a dormire, domani sarà una mattinata decisamente impegnativa. Dio mio mostrami la strada giusta e non mi abbandonare.
14-03-2020
Ore 5:00
Che nottata assurda, non sono riuscita a chiudere occhio, mi sembra tutto surreale, di quelle situazioni in cui pensi “non può essere che stia capitando proprio a me”. Da oggi si inizia a “sfidare il nemico”. Non mi va giù l’idea di tirarmi indietro da questa battaglia. Io mi sento una combattente, ma non ne sono più così sicura forse dovrei pensare a proteggere la mia famiglia. Nella mia testa si accavallano così tanti pensieri che sono difficili da gestire.
Ieri penso proprio di aver “visto in faccia” il nemico: Corona Virus si insinua nel corpo dal naso o dalla bocca e arriva dritto ai polmoni, causa febbri altissime fino a 40 con cui ti avvisa “Cucù, sono qui”, poi provoca crisi respiratorie spaventose. Persone che fino al giorno prima respiravano bene si trovano all’improvviso o con la mascherina col resevoir, o con un presidio chiamato ‘casco’ oppure intubata in rianimazione. Non è una semplice influenza, è un virus che toglie il respiro.
Purtroppo ieri mattina io e le mie colleghe in turno abbiamo avuto i primi due contatti ravvicinati con pazienti contagiati, peraltro senza i DPI giusti perché ci avevano detto che potevamo stare tranquilli visto che il tampone era negativo. Il fatto è che si conosce molto poco questo virus, e ci si sta accorgendo che i tamponi possono risultare negativi anche se il virus è in circolo e quindi non si ha una certezza totale del risultato.
Mio figlio stanotte ha avuto una brutta tosse, la paura che possa aver contratto il Virus è subito lacerante.
Signore no, ti prego, non potrei accettare di aver fatto ammalare mio figlio.
Ora mi preparo per andare in trincea a combattere, del domani non c’è certezza.
Ore 20:30
Sono davvero esausta, stanotte non sono riuscita a chiudere occhio, i pensieri mi si accavallavano uno sull’altro, senza tregua, senza sosta.
Mi hanno comunicato che, dato lo stato di emergenza, in questo momento sono state annullate le ferie e i permessi e non si sa neanche se verranno concessi permessi a chi usufruisce della legge 104 per un disabile in famiglia. Avrei potuto decidere di cambiare reparto, e come me tante altre colleghe, ma siamo rimaste per provare a combattere questo nemico invisibile, insieme.
Stamattina abbiamo preparato il “territorio da guerra”. Nel primo pomeriggio è stata fatta una riunione con una nostra dirigente proprio per parlare di questa nuova situazione che si sta creando, considerare di poter estendere i turni del personale OSS anche alla notte, e riguardo a tutta l’informativa su come dover usare nuovi DPI (camice o tuta monouso, occhiali o mascherine sterilizzabili, mascherina FFP2), presidi per noi totalmente nuovi. Ci è stata spiegata la procedura corretta di vestizione con divisa di stoffa sotto e camice o tuta monouso sopra e la relativa svestizione, importantissima da seguire per protegge noi stessi, le persone malate e i nostri familiari. Ci è stato poi caldamente raccomandato di non sprecare i DPI perché costosi e perché non facili da reperire.
I colleghi di turno del pomeriggio hanno, per così dire, iniziato a fare sul serio accogliendo i primi malati di Corona Virus accertato e conclamato.
D’ora in poi dovremo lavorare secondo la procedura indicata, vestirci a inizio turno e così ‘bardati’, assistere i pazienti fino a fine turno. Non sarà neanche facile poter bere un bicchiere d’acqua e/o andare in bagno. Combattere questa battaglia richiede molti sacrifici, soprattutto da parte nostra, ma in questo periodo le persone ci stanno sostenendo con striscioni vari che dimostrano l’apprezzamento per il lavoro che stiamo facendo. E questo sostegno mi dà un’ulteriore forza e grinta per andare avanti.
Un’altra goccia di forza e consolazione sono stati i messaggi dei bambini della mia parrocchia a cui faccio catechismo insieme alla mia amica Stefania. Dal momento che con questa emergenza sono state sospese tutte le attività di gruppo, e purtroppo ci tocca rimanere tutti a casa per limitare i rischi del contagio, abbiamo chiesto ai bambini di mandarci tramite whatsapp i loro pensieri e le loro preghiere personali. I bambini hanno partecipato con piacere mandando tanti messaggi e bellissimi disegni. Appena uscita dal lavoro mi sono ascoltata tutte le preghierine vocali e vista i disegni, tutti mi hanno commossa. Ho mandato un vocale per ringraziarli tutti, ma non è stato facile, mi si è rotta la voce perché ho dovuto trattenere le lacrime. Ho detto loro che mi sto impegnando anch’io a combattere questa battaglia contro il virus, per far sì che tutto possa tornare presto a quella bella normalità per cui tutti loro hanno pregato e di cui hanno bisogno, andare a scuola e giocare con i loro amichetti.
Domani mi hanno lasciato la mia domenica di riposo. Voglio solo assaporare la piccola grande gioia di stare con la mia imperfetta e bella famiglia, il loro amore mi dà forza ed energia. Lunedì mattina inizierò a combattere sul serio, insieme vogliamo sconfiggere il nemico per tornare quanto prima alla nostra tanto amata normalità. Spero vivamente che finito questo brutto periodo si avrà più rispetto del prossimo e forse avremo imparato a saper apprezzare meglio e di più le piccole cose che ognuno di noi ha.
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